In questi giorni stavo sfogliando il libro che io e Francesco Gavatorta abbiamo scritto insieme: Personal Storytelling.
Sono passati poco più di due anni dalla sua pubblicazione e mi sono accorto come in questo frangente siano cambiati i pesi legati agli strumenti che abbiamo a disposizione per raccontarci. Oggi se non fai un video o posti qualche immagine su Instagram non sembri al passo con i tempi. Siamo sommersi da nuovi ‘anchorman’ del web e da una miriade di bacheche costellate da selfie.
Se da un lato è vero che tra le regole che avevamo segnalato nel libro c’era quella di non aver paura di rinnovarsi, che andava proprio nella direzione di monitorare quali erano i nuovi canali e gli strumenti di comunicazione più efficaci per raccontarsi, al tempo stesso c’è un’altra regola aurea che non va mai dimenticata. Quest’ultima si può sintetizzare nell’autenticità, e trova la sua ragion d’essere anche nell’utilizzo del linguaggio a noi più consono per condividere con gli altri chi effettivamente siamo.
Scegliere la propria lingua
La prima domanda sempre da porsi (una volta che si è deciso cosa raccontare di noi) è:
“qual è la modalità più efficace per trasferire in maniera coerente ciò che sono?”
Perciò, a meno che non abbiate ambizioni di diventare una nuova star del mondo youtuber oppure la nuova influencer di Instagram, ciò su cui bisogna focalizzarsi è sul linguaggio più idoneo per noi.
Ci sarà:
- chi attraverso le parole di un suo post riuscirà a trasferire il proprio pensiero;
- chi farà un uso consapevole dei filtri fotografici per immortalare il racconto della sua giornata attraverso uno scatto fotografico;
- chi troverà nel video il suo habitat naturale per raccontarsi.
L’importante è non perdere di vista che tutti ciò sono dei mezzi e come tali devono aiutarci nel trasferire il nostro messaggio e non diventarne l’elemento di disturbo.
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Una narrazione efficace di sé non deve partire dai like o dalle condivisioni che voglio ottenere, ma da come ciò che pubblico effettivamente mi rappresenta.
Sembra una sottile differenza mentre è proprio il vero cambio di soggettiva. Quando io e Francesco ci siamo confrontati su cosa dovevo inserire sul libro avevamo poche certezze, ma una di queste era che questo manuale fosse un supporto utile per chi voleva e vuole concretamente condividere ciò che è e ciò che fa.
Sostanza, non forma
Allo stesso tempo eravamo, e lo siamo tutt’oggi, convinti che non doveva seguire mode e tendenze a supporto di un ego più o meno esasperato. Questo derivava da un’esperienza diretta sul campo da parte nostra e allo stesso tempo da una visione molto simile sui valori legati al tema delle persone, che come tali non devono diventare personaggi.
È per questo che ancora oggi quello su cui ci soffermiamo è sul perché vogliamo raccontarci. Solo fatto questo possiamo passare a cosa e alla fine al come. Se si perde di vista ciò si rischia di confondere il mezzo con il fine. E quando manca la sostanza delle cose c’è un sostanziale rischio di perdersi nel mare magnum dei social, a prescindere che in questo mare abbiamo fatto delle foto o dei video la nostra scialuppa di salvataggio.